Roma, 29 mar - Una fotografia impietosa che immortala la voragine del calcio italiano, con l'indebitamento della serie A salito fino a quota 2,6 miliardi di euro nel 2010-2011. Crescono i debiti, aumentano le perdite e cala soprattutto il valore della produzione. Colpa non solo dei trofei che non arrivano, ma soprattutto di un modello di business non piu' sostenibile perche' basato quasi esclusivamente sugli introiti dei diritti tv, che in serie A rappresentano il 55% dei ricavi di esercizio.
A scattare l'inquietante istantanea sul pallone professionistico italiano e' il "report calcio 2012", presentato nella sede dell'ABI dal centro studi della FIGC, Arel e Pricewaterhousecoopers, con numeri inequivocabili: l'indebitamento complessivo della serie A nel 2010-2011 e' salito del 14%, 2,6 miliardi di euro contro i 2,3 miliardi della stagione precedente.
Dura l'analisi del ministro dello sport e turismo, Piero Gnudi, che ha parlato di un sistema al collasso, con numeri da fallimento. "Io faccio il ragioniere e leggo bilanci molto preoccupanti. In altri ambiti, con quei numeri si parlerebbe di societa' prossime al fallimento. La crisi e' ancora lunga e sara' difficile trovare dei mecenati che investano nel calcio. Si rischia di non avere societa' in grado di iscriversi ai campionati". Lo scorso anno le perdite sono cresciute del 23% a 428 milioni di euro, un risultato che coinvolge tutte le leghe: tra i 107 club analizzati (su 127) solo 19 hanno chiuso i bilanci in utile: 8 in A ( Napoli, Udinese, Lazio, Parma, Catania e Palermo, piu' le retrocesse Bari e Brescia), 7 in B, 4 in Lega Pro. D'altronde il valore della produzione e' calato ancora a 2,5 miliardi (-1,2%): un miliardo arriva dai diritti tv della sola serie A che genera l'82% dei ricavi. La serie B pesa per il 14% (era l'11%) e la Lega Pro il 4% (era il 5%). Il costo della produzione e' pari, invece, a 2,9 miliardi di euro, in aumento dell'1,5% rispetto alla stagione precedente.
La crisi colpisce anche i presidenti delle squadre di calcio che hanno dato una stretta, timida, ai costi. Nel 2010-2011, infatti, il trend di crescita e' rallentato molto se confrontato con il +6,8% registrato nel 2009-2010 il +6,4% del 2008-2009. Sul fronte fiscale, nel 2009, il calcio italiano ha contribuito allo stato con un miliardo di euro: l'85% (875 milioni) deriva dal contributo fiscale e previdenziale delle societa', mentre i rimanenti 155 milioni sono relativi al gettito erariale derivante dalle scommesse. Con lo strapotere delle televisioni, ma anche a causa dello stato in cui si trova l'impiantistica italiana da oltre 20 anni, il numero complessivo dei tifosi allo stadio e' calato del 4% a quota 13,3 milioni. E cosi' lo scorso anno gli stadi della serie A sono stati riempiti solo al 56%, e la biglietteria ha pesato solo il 10% del totale del valore della produzione dei club. I club stanno spingendo per una nuova normativa in tema di impianti: "che sia una priorita' per il calcio e' indiscutibile - ha aggiunto Gnudi -. sono convinto che si debba andare avanti, anche per innescare nuovi investimenti da parte dei privati, utili alla crescita del paese. C'e' bisogno, pero', che finisca questa crisi, altrimenti anche con la nuova legge, sara' difficile trovare degli investitori".
Una necessita' condivisa dal presidente della FIGC, Giancarlo Abete: "speriamo che ci sia grande attenzione delle istituzioni per salvaguardare il patrimonio del calcio italiano - ha auspicato -. La legge sugli stadi e' ferma, ma noi dobbiamo restare lucidi, anche perche' l'Uefa ha riaperto le dichiarazioni di interesse per euro 2020, e, se restiamo cosi', noi non giocheremo nemmeno la partita". Il numero 1 del coni, Gianni Petrucci, ha invitato i club a non piangersi addosso. "Ad eccezione dello Juventus Stadium, finora ho visto solo plastici straordinari. Se ci si potesse giocare, sarebbe meglio che al Camp Nou. Mi auguro che ci sia presto un passo avanti, anche perche' non capisco cosa ci sia di cosi' impossibile nell'approvazione della legge".
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